Andrea Goffrini è un artista che ha reso la pittura una scelta di vita. L’arte per l’arte, l’arte come senso dell’essere sono i criteri che stanno alla base della sua poetica; una poetica maturata nell’esperienza più che ventennale consumata entro le mura appartate della propria dimora.
Egli è gelosissimo dei confini entro i quali è solo isolato: riservato, idealista, timido ed istrionico al contempo, Goffrini - che ha fatto dell’innocenza primordiale dell’essere il proprio afflato poetico - come un bambino guarda al proprio universo pittorico e stupisce, quasi a dire: “davvero io?”
Geniale interprete di una pittura che indaga i moti più impercettibili dello spirito, sacerdote muto ed inconsapevole della religione dell’arte, alla quale pur si è dato totalmente, ben presago della scelta, Goffrini vive appartato, in campagna, dove ha rinunciato alle lusinghe e alle frenesie dell’esistere comune.
Niente più scrivania manageriale, annullati gli impegni quotidiani, assenti gli incontri mondani che in qualche modo gli avrebbero potuto giovare nella diffusione e relativa conoscenza della propria opera.
E muti pure gli elogi, gli assensi generosi di chi più vicino, o magari da lontano intende incoraggiarci.
Questo il profilo dell’uomo: pochi tratti ne delineano la tempra generosa e solare, sia pure frenata da un’ombra di malinconia.
Una tristezza, la sua, che affonda nel profondo, talché dura fatica egli stesso ad identificarne le origini. Il viaggio poetico di Goffrini prende le mosse da qui: all’inizio forse. Poco più che un ragazzo alla ricerca di un conforto emotivo, un’emozione originaria in grado di sostenere tanta ricchezza di immagini, di sentimenti, di slanci, sempre vitali. Poi, mano a mano, un’indagine inconsapevole, a zonzo nel proprio immaginario, scavando fino alle radici; ed ecco all’apparire del dolore, della macchia buia, l’incontro con il proprio io. Inizia così l’avventura pittorica: una scommessa con se stesso nel tentativo di capire.
Nascono le prime opere: albe, Mare, cieli, nature morte, creature ignude lacerate dalla solitudine, dalla disperazione; tutte quante accomunate da un incrociarsi di strade che in modo più o meno nitido si profilano nella sua produzione pittorica. La strada curvilinea, spesso a strapiombo su un vuoto misterioso, reso ancora più inquietante dalla luce che, solare o notturna, ne governa inesorabile il ritmo e la tenuta, si rivela la protagonista incontrastata della tavolozza pittorica di Andrea Goffrini.
Metafora pura e disvelata del proprio viaggio? Soltanto in apparenza io credo. L’artista nell’eloquio attorno alla propria pittura si apre ad una confessione, la piena ammissione di un credo religioso, da custodire gelosamente, talché nello svelarne l’essenza, nutro il timore di tradire quell’ intesa: egli, nell’indicare i segni, i significati apparenti dei diversi brani, ne dichiara l’apparenza fittizia ed illusoria: intende forse mettermi in guardia dalle parvenze simulatrici. Tanti rebus i suoi universi calati nella nostra o in altre galassie: simboli riposti e complessi le sue strade, e poi ancora gli incroci, i precipizi.
Maschere di dolore, disperazione, o di mera solitudine, i suoi nudi femminili che, dopo l’amplesso, sembrano attendere muse inquiete e pur così umane, un barlume di rivelazione. Al mio dire "questa è la materializzazione del dolore" e la disperata follia dell’artista alla ricerca della bellezza.
Poi tace ritraendosi pudico entro il proprio silenzio. Discorriamo ancora dell'infinito, di Dio di quell' Eldorado sovrumano che ci attende senza sapere se sarà il paradiso che ci hanno promesso, ma poco conta. Ciò' che ci sta a cuore, concludiamo, è l'entusiasmo che induce entrambi a crederci.
Universo pieno di promesse quello di Goffrini: ho detto del valore universale, della sofferenza, ma, ed è questa l'inchiesta viva e sempre presente nell'artista l'arrovello acuto che lo spinge a dipingere. C'è una risposta dietro quelle colline, oltre i precipizi, inesorabile meta delle sue strade : è la formula salvifica, catartica.
Nemmeno Goffrini la conosce, ma egli sa per certo della sua esistenza.
Un viaggio nei meandri dell'inconscio e dell'anima traluce dai brani su carta o su legno, la dove il raffinato segno grafico di Andrea Goffrini - valorizzato oppure no dall'uso sapiente del colore - isola un'idea, un pensiero. Sarebbe vano tentare una classificazione stilistica o di appartenenza per così' tanta originalità: operazione già di per suo delicata e non sempre appropriata e sovente sconsigliabile per la natura stessa dell'arte, cosi' refrattaria a qualche catalogazione, misurabile piuttosto secondo i ritmi e le aspirazioni dei singoli poeti.
Ancor più nel caso presente: il nostro pittore, che sarebbe riduttivo definire autodidatta, sfugge a qualsiasi modello, rinuncia aprioristicamente a qualche archetipo conoscitivo o ideologico caro alla coscienza comune.
Se è lecito nello scorrere delle opere, una girandola di cromie, di ombre, di linee che a tecnica mista caraterizzano la sigla dell'autore, accostarne l'ispirazione e lo stile ad alcuni maestri; vengono alla mente Van Gogh e poi Picasso, i simbolisti, appare evidente come Andrea Goffrini sfugga volontariamente ad ogni indirizzo. Questa la grandezza dell'artista: da una formazione libera, una grande originalissima forza; un dono per la pittura.
Torna alla memoria Eugenio Montale: con il giallo squillante ed abbacinante dei suoi limoni e alle presenze-assenze delle donne angelicate che nutrono i suoi versi.
Un novello orfismo fatto di suoni, colori, lamenti; questo traspare dalle opere di questo pittore verace; è tempo che la sua "favola" esistenziale, davvero bella per la malinconia ed il dolore intenso che sprigiona ad accomunare tutti gli uomini, venga conosciuta da tutti: affinché tutti possano, come me, condividere la bellezza del libro visivo di Goffrini.